L’inafferrabile senso delle cose

Intervista all’autore

INTERVISTA A CURA DI SILVIA PATTARINI  (Gli scrittori della porta accanto)

Roberto Marzioli presenta il suo terzo romanzo, L’inafferrabile senso delle cose: la vulnerabilità dell’essere umano davanti ai sentimenti, l’imprevedibilità della vita, l’amore. «Perché l’amore è tutto… »

Buongiorno Roberto Marzioli e bentornato nel nostro web magazine culturale Gli Scrittori della porta Accanto. Entriamo subito nel vivo di questa intervista, iniziamo già col presentare il tuo ultimo libro, L’inafferrabile senso delle cose. Com’è nata l’idea di questo romanzo, è nata prima la trama o prima il titolo?

Buongiorno a tutti e buongiorno Silvia. Grazie per l’ospitalità.
Prima la trama o prima il titolo?

Certamente prima la trama. Solitamente penso al titolo solo in un secondo momento. Può arrivare come un flash a cui non metto più mano o come un abbozzo allusivo che poi rifinisco durante il processo di scrittura fino alla versione definitiva.
Per L’inafferrabile senso delle cose il titolo ha seguito quest’ultima modalità.
L’inafferrabile senso delle cose è il terzo romanzo di un progetto di quattro nato dalla lettura del testo Le ferite dell’eroe di G. Covini.

Il primo nucleo embrionale della storia, o se vogliamo il tema centrale, era già nella mia mente appena terminata la lettura del manuale. Lo sviluppo successivo della trama invece è nato da una mescolanza di ricordi e sensazioni che si sono accavallati nel tempo. Tutto è iniziato da una passeggiata per il quartiere della mia infanzia e della mia adolescenza.
Ho rivissuto momenti del passato, con la scuola, la chiesa, il viale alberato, i compagni, le compagne.

A questo ho aggiunto elementi più attuali della mia quotidianità: il lavoro in ufficio, il pensiero del tempo che passa, la ricerca di un significato della vita che crescendo, a differenza di quanto atteso, è diventato meno chiaro.
E infine il tema dell’amore, costante dei miei romanzi, con il suo mistero, i suoi labirinti, la sua indecifrabile maestosità.

 

E.M. Cioran affermava: «I libri andrebbero scritti unicamente per dire cose che non si oserebbe confidare a nessuno». Ci anticipi qualche indiscrezione su L’inafferrabile senso delle cose?

Credo che nella storia e nei personaggi di un romanzo ci sia sempre qualcosa dell’autore.

L’inafferrabile senso delle cose è il romanzo, fra quelli che ho scritto, che sento più vicino.
C’è il mio rapporto con la religione, con la speranza, con la paura, con i ricordi, con una vita che riserva sorprese, incognite, imprevisti e con il senso di vulnerabilità e fragilità che ne consegue.

Ogni personaggio del romanzo, come l’autore, e in fondo come ognuno di noi, ha domande a cui trova difficile dare risposta, cose non dette e cose che non si possono dire.
Ogni personaggio del romanzo riflette, chi più chi meno, l’animo di colui che lo ha creato, ma in cui anche il lettore può rispecchiarsi attraverso il filtro della sua esperienza e in cui può trovare cose che nemmeno lui oserebbe confidare a nessuno.
Come diceva Joseph Conrad, «Si scrive soltanto una metà del libro, dell’altra metà si deve occupare il lettore».

 

Si dice che lo scrittore sia un “ladro di vite”. Per creare i tuoi personaggi hai “rubato” la vita a persone di tua conoscenza?

Come accennato, la trama del romanzo è nata da una mescolanza di ricordi e sensazioni.

Mi hanno ispirato il ricordo di un frate che veniva a scuola a parlarci di religione in sella a una moto di grossa cilindrata, il ricordo del primo amore, il volto di un’amica di cui non ho saputo più nulla.
Ho preso poi spunto dall’esperienza quotidiana in ufficio, dalle persone che ho incontrato nel corso della mia attività lavorativa.

Direi che ho rubato qua e là elementi dalla realtà, completando la caratterizzazione dei personaggi con aspetti di fantasia funzionali alla storia.

 

E quanto c’è di Roberto Marzioli?

Più o meno inconsciamente in tutti i personaggi c’è una parte di me:
– padre Federico, in perenne conflitto con se stesso, che fa a pugni con Dio e con un sentimento più grande di lui,
– Carlo, alle prese con un lavoro che lo svuota, i dubbi, i ricordi, il desiderio di essere sempre all’altezza e la voglia di leggerezza,
– Viviana, con le sue paure, la malinconia, l’incertezza del domani,
– Massimo e Stella Lucia, con il loro entusiasmo, la loro voglia di vita, di credere nell’impossibile e in un amore senza fine,
– Lilly, con il suo passato ingombrante, le cadute e il desiderio di rialzarsi e ricominciare.

Di certo ci sono pezzi di me in ognuno di loro.
Ma d’altra parte tengo a precisare che tutti questi personaggi non sono l’autore e vivono di una vita propria.

 

I luoghi del libro sono reali o di fantasia?

Come spesso accade, nei miei romanzi realtà e fantasia si accavallano, si influenzano, si supportano a vicenda.
La realtà mi aiuta ad ancorare le storie alla vita concreta, la fantasia mi permette libertà espressiva e creatività.

Alcuni luoghi del romanzo hanno attinenza con la realtà, altri sono di fantasia.

Fra i primi, la chiesa del mio quartiere di infanzia e adolescenza, le vie e i viali alberati dello stesso quartiere (per chi conosce Parma mi riferisco alla zona di via San Leonardo, via Gobetti, via Milano e dintorni).
Per una scena ho richiamato come ambientazione la piazza della Cattedrale di Parma con il Battistero e il palazzo del Vescovado.
Per la sede della società di consulenza di Carlo mi sono ispirato a uffici che ho frequentato nella mia attività lavorativa.
L’abitazione di Carlo e Viviana invece è di fantasia, costruita prendendo spunto da foto raccolte sul web.

 

A monte di L’inafferrabile senso delle cose c’è un lavoro di ricerca o di documentazione?

Per la tipologia di romanzi che scrivo c’è sempre una ricerca e un’analisi prima di tutto interiore.

Mi avvalgo poi dell’ausilio di manuali di scrittura e testi che trattano di psicologia, soprattutto per la caratterizzazione dei personaggi, ma niente di complesso.

Regolarmente compilo per ogni personaggio di un certo rilievo una scheda in cui vado a dettagliare le componenti riguardanti l’aspetto fisico, sociologico e psicologico. Questo mi è di grande aiuto per l’immedesimazione e lo sviluppo della storia.

Per quanto concerne le ambientazioni, procedo ad una raccolta di foto per avere ben in mente luoghi presenti nella realtà oppure per creare, in una sorta di collage, luoghi di fantasia adatti alla trama e alla narrazione.

 

Italo Calvino citava così: «Scrivere è sempre nascondere qualcosa in modo che poi venga scoperto». Tra le righe di L’inafferrabile senso delle cose si cela qualche messaggio particolare che il lettore dovrà scoprire?

Come accennato in altre occasioni, ho sempre un po’ di timore a parlare di messaggi contenuti all’interno di un mio romanzo.
Direi piuttosto che si tratta di punti di vista che ho nei confronti della realtà o di una porzione di essa.

Il tema del romanzo L’inafferrabile senso delle cose è la vulnerabilità dell’essere umano davanti ai sentimenti e all’imprevedibilità della vita, è una riflessione su quanto controllo abbiamo realmente sulle emozioni, su ciò che proviamo e su ciò che ci circonda.

Quello che propongo è una mia interpretazione e un’analisi delle debolezze e delle risorse che ritengo siano comuni a molti di noi esseri umani. Se proprio devo sbilanciarmi con un messaggio, condenserei tutto in una frase:
«Perché l’amore? Perché l’amore è tutto…»

 

Grazie Roberto Marzioli per essere stato con noi, in bocca al lupo per i tuoi progetti futuri.

Crepi! Grazie a voi!
Un caro saluto!
Roberto Marzioli

Qui il link alla pagina web dell’intervista.