Perché leggiamo un romanzo?
È una domanda che mi sono posto frequentemente in questi giorni e che scaturisce da un quesito più specifico che ha continuato a girarmi per la testa, e per la precisione, “Perché qualcuno dovrebbe leggere un mio romanzo o un romanzo simile al mio?”
Ho quindi approfondito il tema con qualche ricerca in rete.
Riporto qui sotto alcuni fra i brani più interessanti che ho raccolto.
Umberto Eco
Da “Sei passeggiate nei boschi narrativi (Passeggiata n. 4, “I boschi possibili”)” – Bompiani 1994
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Passeggiare in un mondo narrativo ha la stessa funzione che riveste il gioco per un bambino. I bambini giocano con le bambole, i cavallucci di legno o gli aquiloni per familiarizzare con le leggi fisiche e con le azioni che un giorno dovranno compiere sul serio. Parimenti, leggere racconti significa fare un gioco attraverso il quale si impara a dar senso all’immensità delle cose che sono accadute e accadono e accadranno nel mondo reale.
Leggendo romanzi sfuggiamo all’angoscia che ci coglie quando cerchiamo di dire qualcosa di vero sul mondo reale.
Javier Marìas
Dall’epilogo dell’edizione italiana del romanzo “Domani nella battaglia pensa a me” – Einaudi
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È forse inspiegabile che persone adulte e più o meno coscienti siano disposte a immergersi in una narrazione di cui sin dal primo momento sanno che si tratta di un’invenzione.
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L’uomo, e forse la donna ancora di più, ha bisogno di conoscere il possibile oltre che il vero, le congetture e le ipotesi e i fallimenti oltre ai fatti, ciò che è stato tralasciato e ciò che sarebbe potuto essere oltre a quello che è stato.
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Insomma, noi persone forse consistiamo tanto in ciò che è verificabile e quantificabile e rammemorabile quanto in ciò che è più incerto, indeciso, sfumato… forse siamo fatti in egual misura di ciò che è stato e di ciò che avrebbe potuto essere.
Per questo dunque ci piacciono tanto i romanzi.
In fondo tutti viviamo in maniera parziale ma permanente, subendo l’inganno oppure praticandolo, raccontando soltanto una parte, nascondendo un’altra parte e mai le stesse parti alle diverse persone che ci circondano…
Eppure a questo non riusciamo ad abituarci.
Quando si scopre che qualcosa non era come l’abbiamo vissuto, un amore o un’amicizia, una situazione politica o una aspettativa comune e addirittura nazionale, ci si presenta nella vita reale quel dilemma che può tormentarci così tanto e che in grande misura è il terreno della finzione: non sappiamo più come è stato per davvero ciò che ci sembrava certo, non sappiamo più come abbiamo vissuto ciò che abbiamo vissuto, se è stato quello che abbiamo creduto fino a quando non siamo stati ingannati, o se dobbiamo gettare tutto quanto nel sacco senza fondo dell’immaginario e tentare di ricostruire i nostri passi alla luce della rivelazione presente e del disinganno.
La più completa delle biografie non è fatta d’altro che di frammenti irregolari e di scampoli scoloriti, anche la propria biografia. Crediamo di poter raccontare le nostre vite in maniera più o meno ragionata e precisa, e quando cominciamo ci rendiamo conto che sono affollate di zone d’ombra, di episodi non spiegati e forse inesplicabili, di scelte non compiute, di opportunità mancate, di elementi che ignoriamo perché riguardano gli altri, di cui è ancora più arduo sapere tutto o sapere qualcosa.
L’inganno e la sua scoperta ci fanno vedere che anche il passato è instabile e malsicuro, che neppure ciò che in esso sembra ormai fermo e assodato lo è per una volta e non per sempre, che ciò che è stato è composto anche da ciò che non è stato, e che ciò che non è stato può ancora essere.
Il genere romanzo dà tutto questo o lo sottolinea o lo porta alla nostra memoria e alla nostra coscienza, e da ciò deriva forse il suo perdurare…
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Ogni scrittore è ancora di più lettore, e lo sarà sempre: abbiamo letto più libri di quelli che potremo mai scrivere, e sappiamo che quell’interesse, quell’appassionarsi, è possibile perché lo abbiamo sperimentato centinaia di volte; e che talvolta comprendiamo meglio il mondo o noi stessi attraverso quelle figure fantasmali che percorrono i romanzi o quelle riflessioni fatte da una voce che sembra non appartenere del tutto all’autore né al narratore, cioè, non del tutto a nessuno di loro…
Paul Auster
autore di Mr Vertigo e Trilogia di New York
«Leggere è la mia via di fuga e il mio conforto, la mia consolazione, il mio stimolante preferito: leggere per il piacere di farlo, per il silenzio meraviglioso che ti circonda quando senti le parole di un autore risuonare nella tua mente.»
Leggiamo libri per dialogare con noi stessi.
Leggiamo libri per avere un sogno da raccontarci.
Leggiamo libri e andiamo lontano senza alzarci dal divano.
Un libro è il miglior alleato per affrontare un viaggio qualunque sia la meta e qualunque sia lo scopo.
Perché leggiamo libri?
Per innamorarci, per disperarci, per capire cosa succede intorno a noi, per avere punti di riferimento, per non sentirci soli nel mondo, per avere un codice condiviso, per imparare a trovare una strada.
Leggiamo libri e sogniamo ad occhi aperti, leggiamo libri e torniamo bambini, leggiamo libri e siamo già anziani.
Leggiamo libri e ci lasciamo affascinare da creature di carta che per un istante diventano reali. Leggiamo libri e immaginiamo altri mondi.
Distogliamo lo sguardo dalle pagine e diciamo “è vero”. A volte versiamo qualche lacrima come se fosse tutto vero, e poi ridiamo come se fosse tutto altrettanto vero.
Leggiamo libri per dare un volto ai nostri sogni.
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Penso sia proprio così.
Quindi, buona lettura a tutti!
A presto!
Ciao, Roberto.